L’incubo di un ritorno alla sistema pensionistico imposto dalla legge Fornero incombe. Cosa devono aspettarsi gli italiani sul tema delle pensioni? Forse una soluzione esiste.
Poco prima delle dimissioni definitive di Mario Draghi, l’ex presidente del consiglio aveva parlato al Parlamento annunciando, qualora ci fossero state le condizioni adatte per portare avanti i lavori, una necessaria riforma del sistema pensionistico. Quali fossero i piani di Mario Draghi sul tema delle pensioni non è chiaro: “Serve una riforma pensioni che garantisca meccanismi di flessibilità in uscita e un impianto sostenibile ancorato al sistema retributivo“, queste le parole pronunciate durante un lungo discorso.
Non sapremmo mai in che modo avrebbe portato avanti questo piano, ma una cosa è certa: il rischio di tornare alla Legge Fornero, che tanto fece discutere, è sempre più incombente. Ecco il motivo.
Pensioni, a fine anno il ritorno della Legge Fornero
Il tema delle pensioni, così come quello del lavoro, è uno di quegli argomenti sempre caldi che viene usato come dardo di battaglie politiche. Tutti gli schieramenti sembrano essere d’accordo su una cosa: la riforma del sistema pensionistico e il superamento della riforma Fornero. Ma qual è la situazione attuale?
Si fece un primo, nel 2019, entrò in vigoro in via momentanea Quota 100 valida per il trienni 2019/2021; questa prevedeva una fuoriuscita anticipata a 62 anni con almeno 38 anni di contributi versati.
Dopo la scadenza di quota 100 venne elaborata un’altra misura, quota 102 (per niente gradita ai sindacati), anche questa a tempo determinato. L’attuale situazione, simile a quella antecedente permette l’andata in pensione anticipata a 64 anni con almeno 38 anni di contributi. Questa misura resterà in vigore fino alla fine del 2022, ma coloro che hanno raggiunto i requisiti minimi potranno fare richiesta anche negli anni successivi. A partire dall’1 gennaio 2023, qualora non si intervenisse durante l’autunno, il ritorno al sistema Fornero è un fatto inevitabile. Ma cosa preveder la legge tanto discussa?
La normativa prevede una fuoriuscita dal mondo del lavoro per vecchiaia a 67 anni per gli uomini con alle spalle almeno 42 anni e 10 mesi di contributi e per le donne con 41 anni e 10 mesi, con un taglio dell’assegno. Anche in questo caso le parti sociali non sarebbero per nulla contente, ma viene da chiedersi quali siano le alternative. La risposta risiede nel ‘contratto di espansione‘ che permetterebbe un’uscita fino a 5 anni prima del raggiungimento dei 67 anni, ma il costo dell’assegno sarebbe a carico dell’azienda per fino al raggiungimento dell’eta pensionabile. Le aziende possono permettersi una spesa del genere?