Francesco Bidognetti è conosciuto come boss dei Casalesi e si trova in carcere in regime di 41-bis: quali sono state le sue attività illecite.
Quella di Francesco Bidognetti è una delle storie di mafia più conosciute degli ultimi anni, con risvolti giudiziari che si sono trascinati ben oltre il suo arresto, avvenuto nel 1993. Nato a Casal di Principe, Bidognetti comincia la propria scalata ai vertici della camorra a Caserta diventando il boss dei Casalesi. Tra gli anni ’80 e ’90 si occupa principalmente dello smaltimento illegale di rifiuti tossici e la procura comincia a seguirne i movimenti a partire dal 1990.
Una volta raccolte sufficienti informazioni sui suoi traffici illeciti, Bidognetti viene arrestato nel 1993 e recluso in regime 41-bis. Mentre è in carcere ordina l’uccisione del medico Gennaro Falco, reo a suo avviso di non aver diagnosticato in tempo la neoplasia che è costata la vita alla sua prima moglie, Teresa Tamburrino. A distanza di qualche anno viene arrestato il figlio Raffaele, colpevole di essere l’esecutore materiale dell’omicidio del medico.
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Francesco Bidognetti, il pentimento di Anna Carrino
Negli anni successivi alla sua incarcerazione, Bidognetti non ha interrotto il suo ruolo di boss dei Casalesi ed ha continuato a dare direttive e ordini dal carcere. Il tramite di questi ordini era la compagna Anna Carrino: la donna riceveva dal boss i pizzini che poi portava agli affiliati e ai sottoposti di Bidognetti. Scoperta dalle forze dell’ordine, Anna è stata arrestata nel 2007 e convinta a confessare. Le rivelazioni da pentita di Anna Carrino hanno portato all’arresto di 52 persone per attività mafiose o connivenza in attività mafiose.
Il tradimento della donna non è stato accettato dal clan, che dopo le ordinanze d’arresto ha ferito in un agguato la nipote. Secondo la ricostruzione fornita dalle forze dell’ordine, tuttavia, l’obiettivo sarebbe stata la sorella. Sempre nel 2008, dopo le rivelazioni della donna, il primo troncone del processo Spartacus si conclude con la condanna per 37 tra boss e affiliati, tra le quali spiccano il carcere a vita per Bidognetti e Schiavone.
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Prima della sentenza il boss aveva cercato di intimidire il giudice con delle minacce pubbliche, ma ha anche fatto minacce che riguardavano anche alcuni esponenti della politica che, a detta sua, erano colpevoli quanto lui dei reati commessi. Nonostante le minacce di fare i nomi dei parlamentari coinvolti negli affari dei Casalesi, alla fine questi nomi non sono mai emersi. La sua condanna è divenuta definitiva nel 2010, con una sentenza della Corte di Cassazione.
Due anni più tardi, alle accuse già contestate, si è aggiunta quella di disastro ambientale. Secondo la Dia, Francesco Bidognetti avrebbe avvelenato volontariamente le falde acquifere per favorire i traffici del clan dei Casalesi.