Antonella Clerici ha parlato del Festival di Sanremo, e in particolare del ruolo di direttore artistico, ma una famosa psicologa la sconfessa su tutta la linea.
Il tema del momento sul piccolo schermo è ovviamente il Festival di Sanremo 2022, ormai ai nastri di partenza con Amadeus ancora una volta al timone, nel ruolo di direttore artistico e conduttore. Antonella Clerici ha guidato l’evento sanremese nell’ormai lontano 2010, ma nella sola veste di conduttrice. In un’intervista al settimanale F, tuttavia, Antonellina non ha voluto fare polemica sulla strana coincidenza che alle (poche) donne che negli anni si sono succedute alla conduzione dell’evento sanremese non sia stato assegnato l’incarico di direttore artistico. Anzi, lei stessa ritiene che non ne sarebbe stata all’altezza. Parole che però non sono andate giù a una nota psicologa, interpellata sempre da F.
Le “falle” nel ragionamento di Antonella Clerici
La direzione artistica del Festival di Sanremo “non l’avrei neanche voluta, perché credo che ognuno debba fare il proprio mestiere” ha dichiarato Antonella Clerici, per poi aggiungere: “Magari domani ci sarà una donna molto ferrata sul panorama discografico. E pretenderà di avere la direzione artistica. Ma io non voglio mettere bocca su tutto, voglio fare solo quello che so fare meglio. Non credo che non essere direttore artistico per una donna sia una diminutio”.
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Ma Alessandra Micalizzi, psicologa, docente al SAE Institute che forma i produttori musicali, e autrice di un libro sul gender gap nel mondo della musica (Women in Creative Industries, Franco Angeli editore), non la pensa affatto così. Se alle donne viene riservato poco spazio, a suo dire, è anche per via di un modo di pensare come quello della Clerici: “Penso che al Festival succeda quello che accade un po’ in tutta l’industria musicale dove, tra un uomo e una donna con la stessa qualifica, spesso all’uomo sono concessi più poteri decisionali”.
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“A Sanremo si dà la conduzione alla donna, ma poi non la si mette allo stesso livello del conduttore – ha continuato la psicologa -. Anche perché le donne pretendono molto da loro stesse, non accettano un ruolo se non si sentono pronte o pensano di non avere abbastanza competenze. Proprio come Clerici, che avrebbe detto no alla direzione artistica perché non si sentiva in grado. A volte, per cambiare le cose, servirebbe buttarsi un po’ di più, come fanno i nostri colleghi uomini”.
Discorso analogo per gli artisti in gara: “Poche cantanti significa pochi successi al femminile – le donne in classifica sono appena il 14 per cento –. E l’orecchio dell’ascoltatore poco abituato a apprezzare la musica fatta da donne. Spesso vengono considerate un prodotto artistico a sé. Se gli uomini si dividono in cantautori, rapper, indie, band e chi più ne ha più ne metta, le donne musicalmente sono considerate in quanto donne. E hanno quindi una fetta ristretta di mercato. Persino gli algoritmi che fanno le playlist sono ‘genderizzati’. Si basano sul numero di ascolti ricevuti da una canzone e quindi tendono a riprodurre playlist in cui primeggiano i cantanti”. A buona intenditrice…