I famigliari di Michela Morellato, la donna che nel 2005 accusò di molestie Amedeo Goria, puntano il dito contro il giornalista sportivo.
La vicenda risale al 2005 ma fa ancora discutere. Amedeo Goria si è dovuto difendere dalle accuse di molestie lanciate nei suoi confronti da Michela Morellato. “Le accuse erano infondate ma ci fu una strumentalizzazione televisiva”, aveva detto il giornalista sportivo. Non tutti però la pensano allo stesso modo.
Amedeo Goria ancora sulla graticola
Ai genitori della ragazza la raffigurazione di un Amedeo Goria come vittima non va proprio giù: “Qualche giorno dopo quella serata passata con Goria si è sfogata e ci ha raccontato tutto: lei aveva 18 anni, lui 51 – ha raccontato la madre Patrizia -. Era spaventata, temeva che, se avesse denunciato quanto successo, le porte di una carriera in tv, a cui teneva tantissimo, si sarebbero chiuse. E questo è accaduto”.
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“Stava male fisicamente, perse dieci chili e per dormire il medico le prescrisse delle gocce”, ha aggiunto la donna: “Goria poteva dire solo ‘è una faccenda chiusa’, non aggiungere altro. Invece ha preferito riaprire ferite dolorose, e dopo tanti anni di nuovo ha fatto passare mia figlia per una poco di buono, una millantatrice che a 18 anni voleva fare il colpo grosso”.
Sulla vicenda la stessa Michela Morellato aveva dichiarato: “Se le accuse erano del tutto infondate, bisognerebbe capire il perché mi sia stato risarcito il danno morale con una cifra impegnativa… Accettai quello sporco denaro, ma ancora oggi mi pento di aver firmato quel patto”. Secondo il giornalista, invece, i due si sarebbero visti una sera cena, scambiandosi effusioni consensuali. Poi, dopo due mesi e mezzo, “orchestrò indubbiamente una cosa televisiva e non ci siamo più visti”. Ancora Goria: “Io vissi un vero incubo: fui screditato a livello televisivo attraverso un programma tv e contemporaneamente ricevetti la notizia che dopo tre mesi erano stato denunciato per molestie sessuali”.
Quanto al risarcimento ricevuto da Morellato, Goria sostiene che “siccome lei minacciava di proseguire comunque in una campagna diffamatoria nei miei confronti, i miei legali decisero d’accordo con il suo di arrivare a una sorta di patto di non belligeranza. Quella fra le parti che poteva sostenere un aiuto ero io e quindi è stato raggiunto un accordo con tanto di patto di privacy. Un patto che poi non è stato rispettato ma non importa”.