Quindici anni dopo il brutale assassinio di Chiara Poggi, si trona a parlare del movente dell’omicidio. Alberto Stasi sconvolge tutti
Il 13 agosto del 2007 la vita di Chiara Poggi, 26enne impiegata modello, viene portata via con ferocia da un aggressore. A dare la notizia ai soccorritori e alle forze dell’ordine è Alberto Stasi, studente della Bocconi di Milano e suo fidanzato da 4 anni. Nella chiamata ai soccorritori, fatta alle 13.50 del giorno in cui la ragazza è stata uccisa, Stasi dice di aver trovato una persona in fin di vita distesa per terra in mezzo al suo stesso sangue.
A sembrare strano è il comportamento tenuto: perché è scappato ai Carabinieri prima di chiamare i soccorsi se pensava fosse ancora in vita? Perché non ha cercato di soccorrerla in prima persona? Sin dai primi istanti, insomma, gli investigatori hanno sospettato che Stasi potesse aver architettato tutto per crearsi un alibi e eliminare le prove di colpevolezza.
La versione di Stasi è che quella mattina era stato in casa per lavorare al computer alla stesura della tesi e che solo ad ora di pranzo, preoccupato dal fatto che la fidanzata non gli rispondeva al telefono, si sarebbe recato nella residenza di Chiara Poggi, dove l’ha trovata già priva di vita sul pavimento. A quel punto si è recato ai Carabinieri ed ha chiamato i soccorsi.
Ciò che non convinceva di questa versione dei fatti era il comportamento tenuto dopo il ritrovamento del cadavere. I sospetti sono stati rafforzati dal fatto che né sui suoi abiti né sotto le suole delle sue scarpe ci fossero tracce ematiche. In seguito è emersa la testimonianza di un vicino di casa che ha rivelato di aver visto fuori dall’abitazione di Chiara Poggi una bici da donna nera.
Questo sarà un elemento fondamentale, visto che Stasi aveva tra le bici in casa anche una bici nera da donna. Secondo gli inquirenti ed in base anche a quanto emerso dai processi, Stasi si sarebbe recato a casa di Chiara intorno alle 9 del mattino con la bici nera, il che spiegherebbe perché non c’erano segni di effrazione e perché fosse stata lei stessa ad aprire la porta al suo assassino. Una volta entrato in casa della fidanzata, Stasi l’avrebbe quindi colpita a morte con un oggetto contudente, in seguito – come dimostrato dalle analisi in casa della vittima – avrebbe usato il sapone del bagno per pulirsi le mani.
Durante il tragitto verso casa si sarebbe disfatto dell’arma del delitto (mai ritrovata) quindi avrebbe eliminato tutte le tracce di dna sulle scarpe e sui vestiti che aveva indosso. Infine avrebbe sostituito i pedali della bici nera con quelli della bici rossa che utilizzava solitamente per non fare trovare tracce di dna di Chiara sulla quella utilizzata di mattina.
Ci sono voluti 7 anni e due processi per ricostruire cosa è successo quel giorno di 15 anni fa. In primo e secondo grado, infatti, Alberto Stasi era stato scagionato per mancanza di prove, ma la Corte Costituzionale ha richiesto che venissero effettuati altri esami e venisse riesaminato tutto il caso. Grazie agli altri esami sono state trovate tracce di dna, ma soprattutto è stato ricostruito il percorso di Alberto in casa di Chiara, dimostrando che non sarebbe stato possibile non calpestare sangue se fosse andata come ha raccontato lui.
Il risultato è che Alberto è stato condannato a 16 anni per omicidio volontario. Stasi non ha mai confessato di aver ucciso la fidanzata ed anzi si è dichiarato sempre innocente e tutt’ora spera in una revisione della sentenza. Ciò che rimarrà forse per sempre un mistero è il movente dell’omicidio: ancora oggi, nonostante la condanna, rimane oscuro il motivo per cui la ragazza è stata uccisa.
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