Non tutti sanno che a suo tempo Alberto Angela ha rischiato di morire: ecco cosa è successo al conduttore di Ulisse e di tantissimi altri programmi divulgativi e di approfondimento.
Alberto Angela non ha certo l’aria né la fama di un tipo sbadato o che fa le cose sovrappensiero, men che meno senza cervello. Stiamo parlando di uno dei giornalisti e conduttori televisivi più apprezzati del momento; forse l’unico, insieme al suo mitico papà, il famosissimo Piero, a riuscire a coniugare l’esigenza degli ascolti televisivi con programmi di alta qualità culturale e al tempo stesso accessibili a tutti. Eppure, anche lui è un “miracolato”: gli è capitato di salvarsi solo per un pelo da situazioni fortuite che avrebbero potuto anche costargli la vita. Ecco quando, come e perché.
E’ stato lo stesso conduttore di Ulisse e di tantissimi altri programmi divulgativi e di approfondimento a ripercorrere qualche tempo fa un grave episodio di cui è stato protagonista anni addietro. Lui che, forse suo malgrado, è diventato ormai un vero e proprio mito sui social network e un uomo molto apprezzato dal pubblico femminile che ne ha fatto un vero e proprio sex symbol, ha rischiato le pelle per motivi “banali”.
Facciamo una premessa. Alberto Angela è stato abituato fin da piccolo dal suo papà e dalla sua famiglia a compiere molti viaggi avventurosi in giro per il mondo. Poi, col tempo, la passione per la ricerca e la scoperta delle meraviglie dell’universo è diventata anche un mestiere. Ma in una di quelle trasferte il Nostro ha addirittura temuto il peggio. Il primo ricordo risale a quando aveva appena 14 anni: “Avevamo affittato un vecchio torpedone scassato e ricordo che l’autista piegava sempre mentre guidava su questi sentieri sterrati a strapiombo. Ma in India era una cosa normale”. Stile Indiana Jones, insomma… ma dal vivo è molto più pericoloso!
E poi l’anno dopo, nel 1977, Alberto Angela se l’è vista brutta un’altra volta: “Siamo andati in Indonesia a visitare un’isoletta che si chiama Nias, dove c’era una tribù di ex tagliatori di teste. Ci siamo arrivati con un giorno e una notte di navigazione a bordo di un vecchio cargo senza radio, senza scialuppe, senza niente. Nel viaggio di ritorno abbiamo preso una forte tempesta: ho pensato che saremmo affondati, che saremmo morti. Nessuno ci avrebbe più trovato. Il comandante me lo ricordo sotto la pioggia, al buio, che studiava una cartina tutta strappata, cercando di ricomporla come fosse un puzzle”. Chi l’avrebbe mai detto?
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